Dove inizia e dove finisce il vento?
Eppure lo senti, sai che c'è, ma non lo vedi, non puoi toccarlo. Ma lui ti accompagna, sfiorandoti o spingendoti verso il tuo destino. Arriva e se ne va, senza proclami, non si sa dove.
Eppure lo senti, sai che c'è, ma non lo vedi, non puoi toccarlo. Ma lui ti accompagna, sfiorandoti o spingendoti verso il tuo destino. Arriva e se ne va, senza proclami, non si sa dove.
Quell’epidemia era così, quella quarantena era così, caratterizzate da un'incertezza logorante. Non si riusciva a
guardare oltre quell’orizzonte che ci sembrava sconfinato. Ci aveva portato in
dote un carico di incertezza, e ce lo aveva scaricato sulle spalle senza che ce
ne accorgessimo.
Era passato
un mese dall’inizio del lockdown ed eravamo agli albori di un aprile senza
sapore. Ci interrogavamo continuamente su quando la normalità ci avrebbe
raggiunto di nuovo. Magari chiedendoci scusa e spiegando che si era dovuta
assentare per un po’, ma era tornata, finalmente.
Le uniche
risposte erano formate per metà ipotesi e per metà speranze. Più del virus a
spaventarci era l’incertezza di quello che ci attendeva. Lo si leggeva sulla
faccia di tutti. Volti spossati, sfuggenti popolavano le strade in modo fugace.
Cosa faremo?
A che punto saremo tra un mese? Soprattutto saremo le stesse persone di prima?
Certo che no, su questo c’era poco da essere incerti.
Navigavamo a
vista, in un mare agitato dai “se” e dai “forse”. Eravamo spaventati,
certo, ma da cosa?
Dal virus?
Dalla crisi economica che si paventava giorno dopo giorno? O dal fatto di non
riuscire a vedere la fine?
O dalla consapevolezza che non saremmo mai più stati gli stessi e non
potevamo fare nulla per evitarlo?
Probabilmente quell'epidemia ci stava solo spingendo come il vento verso un destino che non avevamo preventivato, o del quale non ci eravamo mai resi conto.