lunedì 20 luglio 2020

CRONACHE DI UNA QUARANTENA PT.3 - INCERTEZZA


Dove inizia e dove finisce il vento?
Eppure lo senti, sai che c'è, ma non lo vedi, non puoi toccarlo. Ma lui ti accompagna, sfiorandoti o spingendoti verso il tuo destino. Arriva e se ne va, senza proclami, non si sa dove.

Quell’epidemia era così, quella quarantena era così, caratterizzate da un'incertezza logorante. Non si riusciva a guardare oltre quell’orizzonte che ci sembrava sconfinato. Ci aveva portato in dote un carico di incertezza, e ce lo aveva scaricato sulle spalle senza che ce ne accorgessimo.

Era passato un mese dall’inizio del lockdown ed eravamo agli albori di un aprile senza sapore. Ci interrogavamo continuamente su quando la normalità ci avrebbe raggiunto di nuovo. Magari chiedendoci scusa e spiegando che si era dovuta assentare per un po’, ma era tornata, finalmente.

Le uniche risposte erano formate per metà ipotesi e per metà speranze. Più del virus a spaventarci era l’incertezza di quello che ci attendeva. Lo si leggeva sulla faccia di tutti. Volti spossati, sfuggenti popolavano le strade in modo fugace.

Cosa faremo? A che punto saremo tra un mese? Soprattutto saremo le stesse persone di prima? Certo che no, su questo c’era poco da essere incerti. 

Navigavamo a vista, in un mare agitato dai “se” e dai “forse”. Eravamo spaventati, certo, ma da cosa?

Dal virus? Dalla crisi economica che si paventava giorno dopo giorno? O dal fatto di non riuscire a vedere la fine?

O dalla consapevolezza che non saremmo mai più stati gli stessi e non potevamo fare nulla per evitarlo?

Probabilmente quell'epidemia ci stava solo spingendo come il vento verso un destino che non avevamo preventivato, o del quale non ci eravamo mai resi conto.


lunedì 13 luglio 2020

CRONACHE DI UNA QUARANTENA PT.2 - SILENZIO


Se solo ci fosse stato un modo per registrare quel silenzio che aleggiava su di noi. Era un silenzio assordante al punto da farti sentire a disagio. Il silenzio urlava una solitudine che serpeggiava tra le strade come un fiume sordo, impetuoso ma senza far rumore.

Non eravamo abituati al silenzio, non lo riuscivamo ad accettare eppure era lì ad aspettarci. Ti avvolgeva senza volerlo e ti costringeva ad ascoltare che rumore fa quello che hai dentro.

Mentre ero lì ad ascoltare l’inascoltabile, salì alla ribalta dei miei ricordi una frase detta diversi anni prima da mio padre nel giorno della ricorrenza del terremoto del 1980 che distrusse l’Irpinia: “Da quel giorno le nostre vite si spaccarono proprio come la terra aveva fatto sotto i nostri piedi, dividendole in prima e dopo il terremoto”. 

Ricordando ed analizzando il tutto, iniziai a fare mie quelle parole, capendo di colpo di trovarmi nella stessa identica situazione. Dal giorno dell’inizio della quarantena, nella mia vita come in quelle di tutti si era tirata una linea netta, che segnava indissolubilmente un prima ed un dopo.

La differenza con il terremoto è che quest’ultimo fa rumore, agita tutto, ti arriva addosso come un’onda anomala. Mentre nella nostra situazione è stato come se di colpo tutto avesse cessato di esistere, all’improvviso. Tutto era lì, al loro posto, ma non esisteva.

C’eravamo solo noi, ed un silenzio che ti spaccava i timpani.

lunedì 6 luglio 2020

CRONACHE DI UNA QUARANTENA PT.1 - STOP


PREFAZIONE

Prima di mettere giù sul serio questi scritti, ho deciso di aspettare che finisse il periodo di quarantena. C’era già qualcosa in cantiere nel perdurare dell’emergenza, ma ad un certo punto ho deciso volontariamente di fermarmi, non potevo mettere nero su bianco emozioni che ancora non riuscivo a decifrare sul serio. 

Avevo bisogno di metabolizzare tutto quello che ci stava succedendo, per poi decifrarle come un messaggio che arriva dal profondo universo. Quando si è al cospetto di cose che non si conoscono, mettere giù giudizi acerbi è il più grande errore che si possa commettere. 

Dovrebbe essere un mantra. Ognuno ha vissuto questo strano, assurdo ed irreale periodo a modo suo. Quello che leggerete, è stato il mio. Forse anche il vostro, chi lo sa.




STOP

Sai quando pensi che a te una cosa non possa mai accadere? Ecco qual era la nostra sensazione all’inizio dell’epidemia da Covid-19

Guardavamo increduli a quelle immagini che giungevano dalla Cina ma come si suol dire, è lontana migliaia di chilometri dall’Italia. "Paese lontano, problema lontano", un pensiero che oscillava tra la consolazione e l’illusione. 

Ce ne rendemmo conto quando una mattina, al nostro risveglio ci ritrovammo catapultati in quelle immagini che eravamo soliti vedere al telegiornale mentre ci si gustava una tranquilla cena in famiglia. 

Divieto assoluto di uscita. La libertà di cui godevamo fino al giorno prima si era ridotta a cento metri quadri, c’era chi superava anche i duecento, ma poco importava la sostanza era la stessa. Quelle mura che ci aspettavano a fine giornata per consolarci, difenderci dal feroce e reale mondo esterno, diventarono il nostro più grande nemico. 

Per poter fare anche la più piccola delle passeggiate bisognava essere in possesso di un valido motivo, come quello di andare a fare rifornimenti di beni di prima necessità. La spesa per intenderci. Se eri fortunato riuscivi a beccare qualcuno con cui fare due chiacchiere, e ti consolava vedere un viso diverso dai soliti due, tre che ormai avevi davanti agli occhi per ventiquattro ore al giorno.

Eravamo nelle nostre prigioni d’oro senza avere la minima idea di quando sarebbe finito. Certo, una prigione a quattro stelle, ma una prigione resta sempre tale, anche se arredata a festa. E se è psicologica, non ne esci. Leggere 1984 di Orwell era come leggere le cronache quotidiane sul giornale, incredibile.

Riflettevo in quei primi giorni di quarantena sul fatto che a spaventare non era il virus, non era la morte che sembrava ormai aleggiare sulle nostre teste, reale o relativa.

Era l’ignoto, il non sapere cosa ci attendeva d’ora in avanti e come sarebbero cambiate le nostre vite.